Dipendenti pubblici, le verità  che nessuno racconta

Leggiamo sul Piccolo di oggi che il numero dei lavoratori della sanità è cresciuto di 524 unità tra il 2008 e il 2009. Sullo stesso giornale abbiamo letto, giusto un mese fa, che tra gennaio e settembre 2010, nello stesso comparto, il personale era calato di 325 unità, di cui più della metà nel settore sanitario, quindi soprattutto infermieri. Questo per dire che i numeri andrebbero maneggiati con cautela.
È come quando si fa il minestrone: certo, ci si mette patate cavoli e prezzemolo, ma se il prezzemolo fosse nella stessa quantità dei cavoli o delle patate non sarebbe più un minestrone ma un infuso al prezzemolo. Questo paragone alimentare per sottolineare che una lettura dei numeri che si fermi alla superficie del dato è sempre fuorviante. Inoltre va sottolineato che i dati del conto annuale considerano come nuove assunzioni anche le stabilizzazioni dei precari.
Ma lasciando il 2009 e tornando al 2010, se in 9 mesi si perdono 325 lavoratori, quanti saranno persi alla fine dell’anno? I dati contraddicono quanto come Fp-Cgil abbiamo sempre sostenuto? No, gli stessi dati ci danno evidentemente ragione e poi, per chi non si fida degli sterili numeri, resta sempre la prova empirica di trovarsi in una corsia d’ospedale e verificare da utente, in prima persona se gli operatori del servizio sanitario sono in numero sufficiente o no per quel servizio che ognuno “pretende” per sé o per i propri cari in quei momenti.
La pubblicazione poi dei dati macro degli stipendi ci dà la possibilità di ragionare su come si imposta la “lettura” del lavoro pubblico: dati, numeri, stipendi…e non servizi resi, persone curate, anziani assistiti, evasori scoperti e via di questo passo. Cosa si vuole ottenere? Chi agisce in questo modo, consapevolmente o inconsapevolmente, asfalta la strada che porta alla chiusura anche di quella “fabbrica dei diritti” che il lavoro pubblico rappresenta, perché nel sistema pubblico ci si entra per concorso e non per chiamata individuale, perché con il lavoro pubblico si garantiscono uguali diritti alle persone, nella sanità, nella scuola, nell’assistenza, nel fisco, nella giustizia e via avanti.
Certo tutto è migliorabile, ma quando si presenta il lavoro pubblico solo con quei numeri e si dipingono diritti come privilegi, si dà ad intendere alle persone, ai cittadini che sarebbe meglio cercare strade individuali piuttosto che servizi collettivi per avere diritti e servizi. Le persone che lavorano nel pubblico percepiscono uno stipendio, come del resto tutti coloro che lavorano ed hanno il diritto di vederselo rinnovato con le stesse modalità utilizzate per tutti i lavoratori pubblici o privati che siano, e questo – è bene sottolinearlo – non accade per i lavoratori del comparto unico, che sono ancora in attesa del rinnovo contrattuale 2008-2009. In questa fase di crisi lo stipendio che viene dai settori pubblici è a volte l’unico che in famiglia è rimasto tale, eppure sembra quasi che i lavoratori si debbano vergognare per questo. Ma non sarebbe piuttosto motivo in più, per i datori di lavoro, per dare dignità e correttezza a quel rinnovo del contratto che i lavoratori aspettano da 36 mesi?
Schiacciare i diritti conquistati a chi li ha, ridurre i salari, eliminare i contratti non è il modo giusto per dare equità sociale a chi lavora. I datori di lavoro del comparto unico, Presidente Tondo in testa, dovrebbero trasformare le energie funeste che adoperano nei confronti del comparto in energia ed interventi positivi a favore dei lavoratori, pubblici o privati che siano. Una società che mette tutti nelle condizioni di crescere, di svilupparsi è una società più giusta più equlibrata, una società dove si continuano a mettere gli uni contro gli altri, in una spirale al ribasso senza fine, non ha in sé né capacità di sviluppo né di crescita sociale.
Mafalda Ferletti, segretaria generale Fp Cgil Fvg